Pillole di Cardionefrologia (13 Maggio 2019)
Summary:
- I dati dello studio SPRINT possono essere applicati ai pazienti ipertesi affetti da Malattia Renale Cronica (CKD) ?
- Terapia anticoagulante orale in pazienti affetti da fibrillazione atriale e malattia renale cronica terminale in trattamento dialitico
- Infiammazione cronica ed incidenza di danno renale acuto (AKI) dopo intervento di rivascolarizzazione percutanea post – infarto
- FGF23 induce alterazioni della contrattilità dei cardiomiociti e promuove l’insorgenza di aritmie cardiache
Fonte: J Nephrol. 2019 Jan 23. doi: 10.1007/s40620-019-00588-0.
Lo studio SPRINT – CKD (Systolic Blood Pressure Intervention Trial-CKD) ha suggerito di raggiungere target di pressione arteriosa molto bassi anche nella popolazione di pazienti affetti da CKD; quello che non è chiaro è se davvero questi risultati possano essere applicati a tutti i pazienti affetti da CKD in vari stadi di malattia in trattamento presso l’ambulatorio nefrologico.
Gli Autori, allo scopo di confrontare la coorte dei pazienti arruolati nello studio SPRINT – CKD con i pazienti CKD realmente trattati presso gli ambulatory nefrologici, hanno preso in considerazione 4 coorti di pazienti affetti da CKD provenienti da 40 centri nefrologici italiani diversi. Sono stati adottati gli stessi criteri di inclusion ed esclusione dello studio SPRINT con gli stessi endpoints: un primo endpoint composito di eventi cardiovascolari fatali e non fatali, un secondo endpoint di mortalità per tutte le cause ed un terzo endpoint composito di Malattia Renale Cronica terminale (dialisi cronica, trapianto ovvero riduzione del 50% del eGFR ). I risultati hanno evidenziato come solo il 20.1% dei pazienti arruolati erano eligibili in base ai criteri dello studio SPRINT-HD. Età, sesso e pressione arteriosa sistolica non differivano da quanto rilevato nello studio originale, mentre i pazienti arruolati presentavano un peggior profilo di rischio al basale (maggiore prevalenza anamnestica di malattia cardiovascolare, maggior Framingham Risk Score e livelli inferiori die GFR). Nei 4 anni di follow – up, gli eventi cardiovascolari, il tasso di mortalità e l’incidenza di malattia renale cronica terminale hanno evidenziato tassi di incidenza superiori a quelli del gruppo di controllo dello studio SPRINT – CKD.
In conclusione, la popolazione di pazienti arruolata nello studio SPRINT – CKD non risulta essere rappresentativa rispetto a quanto accade nel mondo reale; per tale motive, le conclusioni dello studio medesimo non sembrano potersi applicare all’intera popolazione di pazienti affetti da CKD.
Fonte: Semin Nephrol. 2018 Nov;38(6):618-628.
L’interessante review di Austin Hu e coll si concentra sulla terapia anticoagulante orale neipazienti affetti da fibrillazione atriale (FA) e malattia renale cronica terminale (ESRD, end – stage renal disease). Gli Autori, dopo un’introduzione dedicata alla eziologia della FA nei pazienti con malattia renale cronica (CKD), entrano nello specific delle linee guida internazionali in tema di anticoagulanti orali. Le linee guida KDIGO sono inequivocabili e raccomandano l’impiego esclusivo del warfarin nei soggetti con valori di GFR < 15 ml/min; le stesse raccomandazioni valgono anche per la European Society of Cardiologia (linee guida ESC 2016) e la European Heart and Rhytmn Association (linee guida EHRA 2018).
Al contrario, per quanto concerne le indicazioni della Food and Drug Administration (FDA), due molecole appartenenti alla categoria degli anticogulanti orali diretti (DOACs) vengono raccomandate anche nei pazienti con valori die GFR < 15 ml/min: si tratta di Apixaban (al dosaggio pieno di 5 mg x 2/die) e Rivaroxaban al dosaggio di 15 mg/die.
Attualmente non si hanno, però, dati riguardanti studi di natura prospettica ma solo dati di farmacocinetica e farmacodinamica per quanto riguarda Rivaroxaban e dati anche retrospettivi per quanto concerne Apixaban. Si attendono I risultati dei trials attualmente in corso (RENAL – AF ed AXADIA) per avere ulteriori risposte in questa popolazione di pazienti.
Fonte: J Nephrol. 2019 Jan 31. doi: 10.1007/s40620-019-00594-2
Un aumento dei livelli sierici di protein C – reattiva (PCR) è risultato associato ad un incremento del rischio di danno renale acuto (AKI, acute kidney injury) nei pazienti con infarto del miocardio transmurale (STEMI) sui quali viene eseguito un intervento di rivascolarizzazione coronarica percutanea (PCI). Il quesito fondamentale riguarda il “timing” corretto con il quale dosare i livelli di PCR. Gli Autori hanno, quindi, valutato la correlazione tra le modificazioni dei livelli di PCR (PCR velocity – CRPv) e gli episodi di AKI in 801 pazienti con STEMI sottoposti a PCI.
In questi pazienti la PCR veniva dosata due volte nelle prime 24 ore dal ricovero, mentre la CRPv veniva definita come variazione della concentrazione di PCR rispetto al tempo intercorso tra le due misurazioni. Dai risultati emerge che coloro i quali hanno sviluppato almeno un episodio di AKI presentavano livelli di PCRv significativamente più elevate con la CRPv associate ad AKI in maniera indipendente. Ciò che merge, quindi, è il valore di CRPv come biomarcatore facilmente dosabile per la possibilità di sviluppare AKI dopo un intervento di PCI per sindrome coronarica acuta
Fonte: Nephrol Dial Transplant. 2019 Jan 9. doi: 10.1093/ndt/gfy392.
Le alterazioni della contrattilità miocardica e l’aumentata incidenza di aritmie cardiache rappresentano eventi cardiovascolari piuttosto frequenti nei pazienti con malattia renale cronica terminale (ESRD, end – stage renal disease), in modo particolare nei pazienti sottoposti a trattamento dialitico. FGF23 è un ormone regolatorio dei livelli di fosfato I cui livelli aumentano in maniera decisamente importante man mano che si assiste ad una riduzione della funzione renale. Al di là dei suoi effetti sull’omeostasi del fosforo, FGF23 può esercitare un’azione diretta a livello cardiaco modulando, probabilmente, il ritmo cardiac stesso attraverso una diretta interazione con il meccanismo di eccitazione – contrazione delle cellule del sistema di conduzione intramiocardico. In studi condotti su cardiomiociti di ratto, FGF23 influenza il ritmo cardiaco agendo sulle dinamiche di depolarizzazione/ripolarizzazione miocardico grazie all’influsso esercitato a livello di canali del calico, effetti mediate dalla calmodulina chinasi di tipo II (CaMKII).
E’ proprio quest’azione specifica esercitata a livello di canali del calico a determinare gli effetti pro – aritmogeni di FGF23, effetti che vengono bloccati dall’azione di Klotho, una protein di membrane in grado di antagonizzare gli effetti di FGF23; favorire la biodisponibilità di Klotho potrebbe bloccare l’azione pro – aritmogena di FGF23 riducendo l’incidenza di aritmie nella popolazione di pazienti affetta da ESRD.